Nella caffetteria di ZO convenuti come per un caffè si siedono ai tavolini i rappresentanti dei movimenti che sono nati per sottrarre pezzi di territorio da usi militari, privatistici, illegali: dal NO Muos alle cooperative di Libera Terra sulle terre confiscate ai mafiosi, passando per la valle del Simeto e per Punta Izzo. Il tempo di questo incontro pensato per conoscersi, riflettere insieme e raccontarsi è un lusso per chi è sempre costretto a dire le sue ragioni sotto la pressione dei fatti o di decisioni che incombono.
I toni sono sereni, anche quando si raccontano fatti drammatici, come quelli dei ragazzi di Niscemi costretti ad andare al Nord per sottrarsi ai sistematici “controlli” delle forze dell’ordine che sembravano sabotare l’ordine della normalità di ogni possibile esistenza.
Sono presenti accademici e tre di loro, Theo Rakopoulos (Università di Oslo), Gianni Piazza (Università di Catania) e Francesca Forno (Università di Bergamo) sono degli specialisti sui temi. Stavolta però stanno in silenzio, se non per introdurre e spiegare la domanda attraverso la quale i movimenti possono raccontare se stessi, gli strumenti di mobilitazione politica scelti, i rapporti con le comunità, l’orizzonte di un progetto politico possibile.
Cosa emerge? Un mondo variegato, tanto impegno appassionato, tanta competenza, una “molecoralizzazione” della partecipazione politica, di cui c’è traccia in ogni regione d’Italia e che non decolla in un movimento unificato. Qualche partecipante alla fine confessa che si aspettava il classico convegnone. Ma è l’incrocio di sguardi che fa sentire il respiro delle storie. E sulle terre che si vogliono sottrarre e che invece vengono presidiate, di storie in Sicilia ce ne sono.